Filastrocca Tuscolana

in ottonari a rima baciata

CICERONE
Erudito assai il maestro
del discepolo con estro
tesi e idee controlla e affina
logica con disciplina.
Cinque giorni alla sapienza
fanno grande riverenza
perché è degna diceria
parlar di filosofia.
Ci abbiam preso, è vero, dieci
imparando ben dai greci
ed i metodi e le cose,
la poesia e anche le prose,
ma ora della grande Roma
si usin modi e pure idioma!
Or comincio senza indugio
da questo mio bel rifugio:
non ci son posti più amati
di quel che sarà Frascati.

S.U., mensa scriptoria

LEZIONE UNO: LA MORTE

MAESTRO
Anche se par cosa strana,
per la scuola oggi nostrana
mi par metodo fecondo
iniziar a dir dal fondo:
dimmi quindi tu che senti
della morte delle genti.

ALUNNO
L’hai presente quando vedi
soli o in mezzo ad altri tedi
degli obbrobri così brutti
che ti vien da dir: „Son rutti!
Sono proprio racchi forte,
brutti sì, come la morte!“
Dici morte essere buona,
il confronto non funziona!

MAESTRO
Mal per chi? Per te che resti?
O i defunti sono mesti?

ALUNNO
Mah, per tutti, a dire il vero,
mi par Morte un male austero.

MAESTRO
Vero è che chi è defunto
ha di certo il viso smunto,
non però per la tristezza:
chi non c’è non preme asprezza.
L’esser morto non fa male.
Dell’averno e le panzane
che inventarono i poeti
– Ade, Cerbero e altri inquieti –
devi dar per sempre abiura.
Fanfaluche oltre misura!

ALUNNO
Se la morte non è un male
non mi devo preoccupare:
sto di qua, non sto di là,
chi ci va ci penserà.

MAESTRO
Non ci pensi neanche quello!
Lascia l’animo il cervello,
lascia pancia, gambe e petto.
Non essendo più un ometto,
corre su, ché tra le stelle
se ne vedono di belle.
Credi a me, un gran secchione,
cui è piaciuto assai Platone,
che inscenava il gran maestro
anche dopo il suo sequestro
dir che l’anima è immortale,
ricordar trascendentale,
della mente acuta azione
sacra manifestazione.

ALUNNO
Non è poi di gran conforto
a chi è presto bianco e smorto,
ma lasciato, mammalucco,
la lezione m’ha di stucco.
Ascoltarti non delude:
grattami dove mi prude,
o dell’organ gran dottore!
A domani al primo albore!

CICERONE
L’ho già detto e lo ridico:
che io sia vascello ardito
portator per mar da Atene
di precetti casse piene
con i qual tirare avanti
come i savi più importanti.
Ducano anche noi romani
per dimenticar lontani
batticuor, concupiscenza
e rimorsi di coscienza.
Non pei libri e pei frufrù
son sapienza e virtù.

LEZIONE DUE: IL DOLORE

MAESTRO
Se il caffè fosse inventato,
il mio becco avrei bagnato.
Spero che da noi non sloggi
l’argomento nostro d’oggi
sia le forze mie che tue.
La lezion numero due
tratta infatti del dolore.

ALUNNO
Non c’è un singol mal maggiore!

MAESTRO
Come no? A me più importa
che non mi si faccia onta.

ALUNNO
Non ti seguo, ma procedi:
meditar offre rimedi.

MAESTRO
Su perché e come si duole
dei filosofi le scuole
professaron motti arguti
poi da molti ripetuti.
Per la Stoa, filosofia
tutti i mali scaccia via
cosicché vero sapiente
mai non sente proprio niente.
Epicuro, quel burlone,
nel taurin ventre d’ottone
volle dir che un vero saggio
di sapienza dà un assaggio
esclamando da un cantuccio:
„Senti qua che bel calduccio!“
Ora noi, che non siam tonti,
d’intelletto tali affronti
mettiam celeri da parte
per riflettere sull’arte
che al dolor mostra la fronte:
l’animo afforzare a monte!
Mettilo nella capoccia:
ancor più che far bisboccia
dee piacerti esser onesto,
anche se non ti è richiesto.
Per non esser uomo indegno,
serva sempre il tuo contegno.
Lode, onore e dignità
ogni mal fan sopportar.
Sia custode di virtute,
renda ampie tue vedute
al Teatro di Coscienza
d’avventore l’onniscienza.

ALUNNO
Dei precetti ti ringrazio:
or sopporterò ogni strazio
e mi accollo volentieri
anche quelli di cui ieri.

CICERONE
Che ti faccia mal la pancia
per cibaria un poco rancia,
che ti faccian mal gli orecchi,
che ti angosci o ti punzecchi
qualsivoglia ipocondria,
il dottor con acribia
cerca e prova ogni rimedio
dando al morbo assillo e assedio.
Ma mi spieghi – poffarbacco! –,
se del corpo ha ogni acciacco
la sua propria medicina,
perché poi la grave angina
della psiche non si cura
e anche Asclepio la trascura?
E poi presi dall’insania
s’ha di vana gloria smania,
apprension, malicolia,
dell’altrui bramosia.
Qua è il miglior medicinale
barba, sì, filosofale!

LEZIONE TRE: LA DEPRESSIONE

ALUNNO
Non vorrei fare un malestro,
affermando, o mio maestro,
che anche al più grande sapiente
può deprimersi la mente;
appetiti, fifa, ira
anche quegli a sé li attira:
non c’è della psiche moto
che a qualcuno resti ignoto.

MAESTRO
Ecco che addì sei alle porte
– caro mio, reggiti forte! –
e di grandi e di piccini
sillogismi e raziocini.
È densissima melassa.
Districhiamo la matassa
degli stoici arsenali.
Le questioni lessicali
ho ben bene ponderate.
Ciò che i greci chiaman πάθη
non m’aggrada dir sia morbo,
che parrebbe un verbo orbo.
È mental perturbazione
che dà l’out alla ragione.
Se dei savi il cervello
è il fior fiore all’occhiello
dal midollo ogni appetenza
può scacciare la sapienza.
Non di pietra abbiamo il core,
ma placar potrà ogni ardore
forte consapevolezza.
Poi è dell’animo fortezza
contro altere idee e meschine
quella greca σωφροσύνη.
Temperantia, moderatio
lungi tiene il moral dazio,
ché la rotta aurea e augusta
passa in mezzo e è sempre giusta.
Oltremodo non si appete
per trascorrere ore liete,
né si teme un mal futuro
né un problema già maturo.
Godi anche in grave lutto
del riserbo l’usufrutto.
Mai non far come quei pazzi
che non mostrano imbarazzi
e si battono sui petti
lancian disperati urletti,
la camicia ormai è a brandelli,
or si strappano i capelli
pretendendo che calvizie
tosto estingua lor nequizie.
Se sei triste, datti pace:
senti ingiuria, ma fallace,
che a pensarci, per davvero
non c’è su quest’emisfero
neanche un uomo che la scampi.
Stolto sei se credi ampi
del dolore i benefici.

ALUNNO
Ben capisco quel che dici?
Non mi serve stare male?

MAESTRO
Non ti serve: è da evitare.
Lancia Sorte sue ripicche,
tu sii saggio e dalle picche.

CICERONE
Quanti, o quanti di quei Greci
di cui voglio far le veci
enarrando gran pensieri
oggi detti e scritti ieri!
Voglio gloria sia diffusa
di cateti e ipotenusa,
di colui che afferma fiero:
„Io do i numeri davvero!“
Pure Roma, quando vuole,
sforna di pensanti prole.
Cencinquanta e pochi più
all’annata di Gesù
vien tra l’itale contrade
con gli amici Carneade,
ma Caton, Romano vero,
mandò a calci via il cialriero!

LEZIONE QUATTRO: GLI AFFETTI

ALUNNO
Professor, vorrei affermare
un pensiero lineare:
la passione – ne ho le prove – 
l’animo anche al saggio muove.

MAESTRO
Alla Stoa io sono ligio.
Chiederebbe Topo Gigio:
„Ma cosa mi dici mai?“
Se lo credi sono guai.
Per gli stolti son gli affetti,
che son pieni di difetti
pari a morbo o malattia.
Non conosce il savio algia,
né libido, né paura,
né gaiezza oltre misura.
Se sei scemo voluttà,
se sei saggio volontà;
non sgomento né terrore,
sii tu cauto osservatore;
moto evita smodato,
stai tranquillo e ben pacato;
niente gioie senza freni,
gaudio sol: questi son beni.
Anche quando al vizio tendi
sempre errore vilipendi:
non sia irato l’iracondo
né impaurito il tremebondo!
Quei Pitagora e Platone
affermavan che ragione
può seguir l’animo in parte,
cui secondo proprio arte
sta tranquilla una metà
l’altra è ira e voluttà.
„È normal sentir gli affetti,
anzi è utile in effetti“,
vollero affermare in tanti –
tutti rei con le aggravanti!
Ciò che turba è un’opinione
cui fallace soggezione
dobbiam saggi sradicare
poiché è inutile e volgare.
Questo è il clou, non dico altro
alla fin del giorno quarto.

CICERONE
Cosa sia vita beata
mostra quinta la giornata.
Lutti, esili e fati avversi
ci hanno perturbati e spersi
e badando ai sol dolori
obliammo i nostri errori.
Sorte anche se tormenta
sia virtù di sé contenta,
di cui irradi sempre via
duce la Filosofia.
Da bambina occhi curiosi
alzò agli astri maestosi;
Socrate poi la guidò
tra le case e le affidò
raziocinio dottorale
per distinguer bene e male.
La gran dama tripartita
è maestra ora di vita.
Se sei di sapienza vago
la natura osserva pago
ricercando con ragione
disertissimo in agone
con amico tuo sodale
la virtù e la morale.

LEZIONE CINQUE: VITA BEATA

MAESTRO
Oggi come ogniqualvolta
proferisci tesi e ascolta.

ALUNNO

Precettore, senti orsù:
non puoi mai bastar virtù
per aver vita beata
se la mina sfiga ingrata.
Quanto la fortuna è ostile
– in un anno bisestile,
in un mese assai funesto,
in un giorno ognor molesto –,
perdi speme troppo ardita
di codesta dolce vita.

MAESTRO
Arriviam della questione
a importante conclusione:
mal non è ciò che ti accade
se tua mente non pervade
alcun moto o turbamento.
Che tu sia quieto e contento!

ALUNNO
Anche corporal castigo,
di malevolo un intrigo,
latrocini di denaro
o la morte di uno caro
soffri con asciutto ciglio?
Qui c’è gente che in esiglio
dal paterno suolo amato
ma da guerre ormai prostrato
cerca pace. Sol rovine
son le patrie cittadine
dove giaccion, cerei i volti,
figli morti e mai sepolti.
Mi vuoi dir che sono in fallo
se rimane angoscia in stallo?

MAESTRO
Segui me, non altri allocchi,
guarda bene coi tuoi occhi
tutte quelle che contiene
questo arazzo dubbie scene.
Cosa vedi?

ALUNNO
                      In mezzo a tanti,
ora a passi vacillanti
ora invece ferma e salda,
ora vaga ora spavalda
una donna nuda incede
su una sfera. Incerta sede
muove e sparge l’innocente
i suoi doni tra la gente.
Che sian d’oro o di letame
non può prendere in esame.
Lei non sbaglia né poi emenda:
copre i lumi un’alba benda.

MAESTRO
Ora osserva il triste coro
degli afflitti tra coloro
che fa scendere la ruota
della vita. Salgon quelli
che gioiscon tra gioielli
e fortune di ogni guisa.
Non giustifico né risa
né lamenti. Servi e re
son di Sorte alla mercé.
Libero da questo giogo
sia tu grazie al pedagogo
che ti mostra di sapienza
cura contro ogni appetenza.
Niente affligge la tua mente
quando brami poco o niente,
quando accetti ciò che accade
che sia un male o gran beltade.
Voglio che ti sia da guida
contro affanno e anche movida
la ragione perché forte
sia tu in barba ad ogni sorte! 


Silvia Ulivi

Humanistin mit einem unstillbaren Faible für Sprachsysteme, Literatur und Unterricht

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